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ritratto di MariaT. ©miriam ognibene Quante volte ci capita di spiegarci con qualcuno e non essere capiti?
spesso la comunicazione diventa una cosa relativa, nonostante i nostri intenti, e sembra viaggiare su due strade parallele che pure se si continueranno a vedere, rimarranno sempre distanti, separate. Ho sempre reputato più semplice catturare quello che è fuori da me, ma accade una cosa quando lavoro con il ritratto - quindi con la materia di un altro umano - per qualche ragione, forse per empatia, mi sembra di intuire i sussurri degli sguardi, svariati pensieri non miei mi attraversano e percepisco lo stato d'animo di chi ho davanti. Quando questo accade, mi piace portare il soggetto a renderli più visibili e utilizzare quella forza espressiva come parte narrativa dell'immagine. Mi è capitato di scorgere un bisogno, una richiesta non detta, ho dato spazio alla parola, poggiando la mia camera per ascoltare. Nella moda questa estraneità è ancora più amplificata, forse proprio per la sfida che rappresenta questa condizione ho imparato ad amare quel genere di fotografia. Chi è abituato ad essere ritratto ha spesso un atteggiamento più distaccato ed è pronto a fare quello che gli si chiede. Proprio in quel momento cerco di portare il soggetto a scoprirsi. Capita anche con gli attori, mi chiedono “dimmi cosa devo fare?” la mia risposta è semplicemente “essere te stesso”. Mi capita vedere sessioni di scatto, con sconosciuti, trasformarsi in scambi intimi di racconti segreti di anime che somigliano alla mia. A volte si parla, altre volte ci si guarda. Amo ritrarre le persone perché mi piace scoprire cos'altro c'è oltre l'apparenza. MariaT (in foto) la conoscevo già, ma in questa sessione ho sentito crearsi un'unione più profonda e la stessa cosa succede anche con perfetti estranei. Mi capita, sempre per lavoro, di essere mandata a ritrarre persone che non conosco. Mi aprono la porta e le vedo per la prima volta. Sono sempre felice di conoscere nuove persone, e cerco subito di instaurare un rapporto, mi guardo in torno, e cerco di rompere il ghiaccio. La tensione inizialmente è da entrambe le parti, talvolta però basta un sorriso per sciogliere quell’imbarazzo. Quando dico che il ritratto è uno scambio intendo proprio questo. Durante i momenti di scatto ci si sente più vicini, si accorcia la distanza dell'essere sconosciuti e si arriva più in profondità, probabilmente dove risiede l'anima. Parte che è essenza di ciò che siamo e ciò che vediamo. Precipita la maschera e restiamo come nudi. Questo avviene da entrambe le parti, è una sorta di vulnerabilità controllata, sono stata uditrice di segreti, di pensieri nascosti e li ho messi tutti dentro quelle immagini, che credo accostarsi maggiormente alla personalità che ho di fronte. Sono grata di tutto il tempo che ho avuto per aggirarmi tra i pensieri di chi si è lasciato ritrarre e tra sorrisi, lacrime o segreti mi ha lasciata con il ricordo di un momento unico e per sempre nostro, come questo. riproduzione riservata ©Miriam Ognibene Seguimi anche sui social: Instagram e Facebook |
AutoreSono Miriam, ho 38 anni, ma non mi piace ammetterlo. Dicono che sono molto sincera, in effetti è più forte di me. Mi rifugio nella fotografia per ottenere quella micro dose di bugia utile al fabbisogno quotidiano. Spiritosa, anche se da poco tempo. Mi piace scoprire le storie degli altri e ritrarli. Credo che l’arte sia una unica cosa che utilizza infinite strade per manifestarsi, la ritengo un’entità viva e pensante. Amo le cose belle, lo sport e le cose buone, e, come tutte le donne di sana e robusta costituzione, mi piace spendere soldi. ArchiviCategorie
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